Impossessarsi di un cellulare smarrito continua ad essere reato nonostante la recente depenalizzazione in materia appropriazione di cose smarrite.
La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, ha affermato con la sentenza n. 29627/2019 che impossessarsi di un cellulare altrui oggetto di smarrimento può integrare la fattispecie del reato di furto, rilevando anche gli estremi del reato di ricettazione, laddove il soggetto individuato in possesso del telefono cellulare di un’altra persona non sia in grado di giustificarne la provenienza.
Inizialmente l’imputato era stato assolto per il reato previsto dall’art. 647 c.p. che configura la fattispecie di appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito, in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato a causa della depenalizzazione operata dal decreto legislativo n. 07/2016.
Di fronte all’errata qualificazione dell’imputazione, la Corte di Cassazione è intervenuta sostenendo che la qualifica del reato di ricettazione doveva essere mantenuta, ma nel caso di specie si sarebbe dovuto configurare il reato di furto nei confronti di chi si impossessi di un bene, come il cellulare.
Il telefono è, infatti, un oggetto che mantiene chiari segni del legittimo possessore altrui indipendentemente dalla presenza al suo interno o meno di una scheda SIM funzionante, grazie al codice IMEI (International Mobile Equipment Identity), un numero stampato nel vano della batteria del telefono, che consente di identificare univocamente il terminale mobile.