Con una recente sentenza la Cassazione impone a un figlio di rivedere le proprie ambizioni lavorative adeguandole al momento attuale e sottolinea come il mantenimento dei figli non sia un sostentamento ad oltranza.
La madre di un figlio di 33 anni, con lei parzialmente convivente e in condizioni di lavoro precario, ha proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione per chiedere che venisse affermato il diritto del figlio a ricevere a tempo indeterminato il contributo economico da parte del padre, in precedenza obbligato a versare un assegno di mantenimento in suo favore.
Poche settimane fa i giudici hanno rigettato il ricorso e hanno condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite; nello specifico, con l'ordinanza 17183/2020, depositata proprio alla vigila dello scorso Ferragosto, la Prima Sezione Civile della cassazione ha ulteriormente precisato i limiti entro cui il figlio maggiorenne convivente può ottenere il mantenimento a carico dei propri genitori.
I giudici hanno ricordato che, di regola, l'obbligo di mantenere la prole cessa con la maggiore età del figlio; tuttavia, compiuti i diciotto anni, ai sensi dell'articolo 337 septies c.c. “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto”.
Nel decidere il caso di specie, la Cassazione ha specificato che tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente, si pone, fra le altre, la prosecuzione degli studi ultraliceali con diligenza, impegno e risultati adeguati, da cui si desuma l'esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini; inoltre i giudici ammettono il mantenimento, anche dopo il conseguimento del titolo di studio, per un lasso di tempo necessario al figlio per dedicarsi razionalmente ed attivamente alla ricerca di un lavoro.
In sostanza il Collegio ha puntualizzato che, ultimato il prescelto percorso formativo (scuola secondaria, facoltà universitaria, corso di formazione professionale), il maggiorenne debba adoperarsi per rendersi autonomo economicamente.
A tal fine, egli è tenuto ad impegnarsi seriamente per trovare un’occupazione, tenendo conto delle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro. Tant'è che, nell'eventualità in cui non venisse rinvenuta proprio l'occupazione desiderata e proporzionata al titolo di studi, i giudici dispongono che il figlio ridimensioni le proprie aspirazioni.
La logica di questo ragionamento seguito dalla Corte trova le proprie radici nei principi di equità e di autoresponsabilità, che permeano l’ordinamento giuridico e scandiscono i doveri del maggiorenne.
Il figlio maggiore d'età non può pretendere un mantenimento a tempo indeterminato, ostinandosi a indugiare nel perseguimento della propria realizzazione personale: infatti non gli può essere riconosciuto un diritto di affidamento su un supposto obbligo dei genitori di sostentamento ad oltranza nel perseguimento delle ambizioni personali.
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