In tempi di lock down accadeva che una giovanissima ragazza decidesse di portare a termine la gestazione e partorisse in Ospedale il proprio bambino, tenendone all’oscuro l’ex compagno e le famiglie di entrambi, di fatto abbandonando il neonato senza riconoscerlo. A un anno di distanza la ragazza confidava al presunto padre l’esistenza della minore.
Ci si domanda, al di là dell’ingente portata emotiva della situazione, dal punto di vista strettamente giuridico come viene regolamentata questa fattispecie?
Quali facoltà permangono in capo alla genitrice biologica successivamente alle dimissioni dal reparto di ostetricia e ginecologia, sostanzialmente ci si chiede:
Quali sono i diritti e doveri della madre biologica?
Quali diritti ha il presunto padre biologico?
Vediamo insieme come è proseguita la vicenda, partendo dal presupposto imprescindibile per cui le motivazioni personalissime sottostanti a una decisione tanto rilevante sono estremamente intime e quindi assolutamente ingiudicabili.
In questa sede è di esclusivo interesse comprendere i risvolti di diritto oggettivamente derivanti dalla decisione della donna di non riconoscere il proprio bambino e quindi tenerlo con se fin dal momento del parto, lasciando il neonato presso la struttura sanitaria ove è venuto alla luce.
Anche le Linee Guida del Ministero della Salute rammentano la preliminare necessità di porsi nell’ottica del comprendere le motivazioni sicuramente complesse, talvolta drammatiche, che guidano la donna in una scelta tanto straziante.
Ciò doverosamente premesso nell’accingersi a trattare un argomento così delicato, innanzitutto ricostruiamo cronologicamente i passaggi tecnici della procedura che si instaura a tutela della madre e del neonato, in un ordinamento giuridico come il nostro, che garantisce il pieno diritto alla maternità, nonché alla procreazione cosciente e responsabile.
Massima riservatezza per la madre in ospedale
Fin da subito, dal momento della nascita, la struttura ospedaliera è tenuta a garantire la massima riservatezza, supportando la genitrice con interventi adeguati ad assicurare che il parto avvenga in forma anonima anche dopo la dimissione.
Infatti il nome della madre rimane per sempre segreto e nemmeno quando il figlio biologico sarà adulto potrà mai domandare l’identità della donna.
Sul punto è da evidenziare che il diritto alla segretezza della madre prevale su ogni altra richiesta futura proveniente dal figlio biologico sull’identità della donna fino alla morte di quest’ultima.
Infatti in carenza di riconoscimento fin dalla nascita, non è possibile l’accesso a qualsivoglia informazione riguardante la genitrice biologica da parte del figlio, non trovando in tal caso applicazione la Legge n. 149/01 adottata in ossequio alle Convenzioni Internazionali.
Il fondamento giuridico di questa considerazione è da rinvenire nell’art, 28 c. 7 e 8 della Legge n. 184 del 1983, ove il legislatore dispone che “l’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai sensi dell’articolo 30 c. 1 del DPR n. 396/2000”.
Il diritto della madre di non riconoscere il figlio
Per questo motivo fin dall’atto di nascita si annota che il figlio è “nato da donna che non consente di essere nominata”. Nello specifico, ai sensi dell’articolo 30 c. 1 del DPR n. 396/2000, la suddetta dichiarazione deve essere fatta dal medico o dall’ostetrica in luogo dei genitori, entro il termine di 10 giorni dal parto e nel pieno rispetto della volontà della madre di non essere nominata.
Contestualmente il personale sanitario, in veste di ufficiale pubblico, segnala la situazione di abbandono del neonato non riconosciuto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni competente, ove viene aperto un procedimento di adottabilità finalizzato all’individuazione di una coppia di genitori adottivi a cui affidare il bambino in affidamento.
Ciò nonostante alla madre viene concessa la possibilità di un ripensamento. Infatti, finchè non sopraggiunge un provvedimento di affidamento da parte dei giudici, la donna ha facoltà di domandare al Tribunale per i Minorenni una sospensione temporanea dello stato di adottabilità del bambino, per un periodo massimo di due mesi, durante i quali deve mantenere la continuità e la costanza di un rapporto con il bambino.
Solo nel caso di madre minore di sedici anni è possibile che il periodo di sospensione duri eventualmente per più di due mesi, cioè per il tempo necessario al raggiungimento di quell’età.
Per esclusione, quindi, la madre non avrà più tale opportunità quando sia in atto l’affidamento preadottivo, come previsto dall’articolo 21 c. 3 della L. n. 184/1983.
Cosa può fare il padre biologico?
Nel caso di specie, l’ex fidanzato della donna, venuto a conoscenza dell’esistenza del bambino e domandandone un previo accertamento della paternità, mostrava di essere disperatamente interessato al riconoscimento e all’adozione del minore.
Pertanto veniva tempestivamente proposta dall’avvocato matrimonialista un’istanza urgente al Tribunale per i Minorenni e alla Procura della Repubblica sita presso il medesimo.
L’istruttoria svolta dall’autorità giudiziaria conduceva però a un esito negativo; infatti il Collegio dei Giudici informava il procuratore legale del fatto che la sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità era ormai passata in giudicato e che, già da qualche mese, era stata individuata una coppia di genitori affidatari e adottandi.
Nello specifico il Tribunale sottolineava l’inammissibilità della richiesta e l’impossibilità di procedere per il fatto che fosse ormai stato emesso il provvedimento di affido preadottivo, ostativo a qualunque possibilità di revocare lo stato di adottabilità del minore.
La ratio della decisione perentoria ha sede sempre nel già menzionato articolo 21 c. 3 della Legge n. 184/1983, che dispone: “Nel caso in cui sia in atto l’affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato”.
Poiché la decisione del Tribunale si basa su una motivazione di carattere puramente processuale, rimane il beneficio del dubbio sul fatto che, dal punto di vista sostanziale, il riconoscimento paterno confligga con il diritto alla segretezza in capo alla madre.
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