La presenza sempre più costante di strumenti tecnologici ed elettronici impone nuove interpretazioni al diritto in funzione di una rilettura aggiornata dei reati in chiave tecnologica, in questo caso dello stalking, atti persecutori perpetrati attraverso la rete o mezzi informatici.
Da stalking a cyberstalking
L'articolo 612 bis del codice penale vede la luce con il Decreto Legge n. 11 del 23 febbraio 2009, convertito poi con la Legge n. 38 del 23 aprile 2009.
Tale norma punisce chiunque, con condotte ripetute nel tempo, minacci o molesti qualcuno in modo tale da cagionare alla vittima:
• Un perdurante e grave stato di ansia o di paura;
• Un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona legata da relazione affettiva alla vittima;
• La costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.
Questa previsione viene completata dal secondo comma, il quale prevede un aumento di pena se gli atti persecutori vengono commessi dal partner, ex partner o qualunque altra persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
Cosa rischia chi commette il reato di cyberstalking?
Se questa previsione normativa era stata pensata con riferimento a tutti quei comportamenti persecutori che potevano venire posti in essere nella vita quotidiana e reale, con la massiccia diffusione dei mezzi informatici e con l'utilizzo compulsivo di internet a livello globale, tutti gli atteggiamenti penalmente rilevanti previsti dall'art. 612 bis sono migrati verso nuovi strumenti: caselle di posta elettronica, messaggi sul cellulare e pubblicazioni sui social network.
Anche la giurisprudenza si è sempre più spesso dovuta interrogare sulla possibilità di configurare fattispecie di stalking in rete.
La stessa Suprema Corte di Cassazione ha, in più pronunce, applicato la disciplina dell’art. 612 bis c.p. alle ipotesi di cyberstalking, andando di fatto ad anticipare l’iniziativa del legislatore che ha condotto all’integrazione del comma 2 del medesimo articolo.
Su tutte si riporta la sentenza n. 25488 del 24 giugno 2011, in cui la Corte ha ribadito la rilevanza del reato di stalking confermando, nei confronti di un giovane, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall’ex ragazza convivente, vittima di atti persecutori.
Nello specifico l’imputato, a seguito della conclusione della convivenza con la vittima, si era reso responsabile di continui messaggi inviati tramite Facebook contenenti minacce ed ingiurie. Inoltre aveva violato il domicilio della vittima e percosso la stessa cagionandole delle lesioni.
Proprio con riguardo ai messaggi inviati tramite il famoso social network, la Suprema Corte aveva stabilito che, se le azioni sono in grado di provocare uno stato di ansia e di paura nei destinatari, possono integrare il reato di stalking.
Come si manifesta il cyberstalking
Come quindi anticipato, si è reso indispensabile e non più rinviabile l’adozione di una previsione normativa che comprendesse le nuove possibilità di delinquere offerte dalle nuove tecnologie e dai social.
Con il Decreto Legge n. 93 del 14 agosto 2013, poi convertito con la Legge n. 119 del 15 ottobre 2013, il legislatore ha modificato il secondo comma inserendo la previsione che le condotte dell'art. 612 bis c.p. potessero essere commesse anche attraverso strumenti informatici o telematici.
Da ultimo si riporta la recente pronuncia del 28 dicembre 2017 n. 57764, della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione in cui ha precisato e specificato che “l’attitudine dannosa di tali condotte - cyberstalking ndr - non è tanto quella di costringere la vittima a subire offese o minacce per via telematica, quanto quella di diffondere fra gli utenti della rete dei dati, veri o falsi, fortemente dannosi e fonte di inquietudine per la parte offesa”.
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