La giornata del 25 novembre è la mera occasione per parlare di violenza sulle donne, piaga sociale che affligge quotidianamente troppe persone e che tiene costantemente occupati numerosissimi professionisti, il cui intervento, tempestivo e competente, è essenziale per la vittima.
E' di fondamentale importanza però sottolineare la necessità di collaborazione che deve interessare tutti i soggetti coinvolti per la creazione di una vera e propria rete antiviolenza per debellare questa piaga che è spesso discendente dalla società patriarcale.
Con la legge sul femminicidio, tecnicamente la L. n. 119/13 con cui l’Italia ha ratificato la Convenzione di Istanbul del 2011, il legislatore ha introdotto novità sui reati sentinella e sui reati caratterizzanti la violenza di genere, quali ad esempio quelli rubricati agli articoli 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi), 609 s.s. c.p. (violenza sessuale), 612 s.s. c.p. (minaccia e atti persecutori).
Il percorso legislativo si è ultimato con il cd. “Codice rosso” del 2019, legge intervenuta per rendere più efficace l’introduzione del processo penale a tutela del soggetto debole.
In particolare l’articolo 3 della Convenzione di Istanbul chiarisce che la violenza contro la donna si estrinseca in maltrattamenti di natura fisica, economica, sessuale e psicologica.
La violenza psicologica
Quest’ultima forma, quella psicologica, può manifestarsi da sola e tendenzialmente sussiste sempre in presenza delle altre tre forme di violenza.
Essa presenta le maggiori criticità di accertamento e di prova per i professionisti che supportano la donna, tant’è che la violenza psicologica è altrimenti denominata “violenza nascosta”; infatti talvolta la stessa donna non ha gli strumenti per comprendere di essere vittima di azioni subdole, che non lasciano lividi; altre volte, invece, prevale nella vittima la paura di riferire i soprusi subiti, che spesso si verificano in assenza di testimoni o, purtroppo, in presenza dei figli minori vittime di violenza assistita.
Proprio a causa della difficoltà che gli operatori del settore riscontrano nel riconoscere e poter prendere in carico tali gravi situazioni, si rende necessaria un’ottimale collaborazione tra i professionisti che multidisciplinarmente intervengono a supporto della vittima.
Le figure di riferimento sono generalmente le Forze dell’Ordine, l’avvocato a cui la donna si rivolge anche per le gestioni di problematiche collaterali rispetto alla violenza, il medico, sia esso di medicina generale che di pronto soccorso, gli psicologi e gli assistenti sociali, oltre a tutte le altre tipologie di operatori sociali dei centri antiviolenza e delle case rifugio.
Conoscere il ciclo della violenza: cos’è la luna di miele?
Affinchè il professionista che interviene al fianco della vittima possa davvero operare consapevolmente e assistere la donna nella strada impetuosa di uscita dalla violenza, è imprescindibile la conoscenza del ciclo della violenza, ben rappresentato in questo schema realizzato dalla Rete Antiviolenza di Milano.
1-La crescita della tensione
Nella prima fase di “crescita della tensione” l’aggressore inizia ad attuare atteggiamenti controllanti e repressivi verso la vittima, ad esempio impedendole di uscire con le amiche o pretendendo di controllarle il cellulare, oppure centellinandole il denaro per le spese.
2 - I maltrattamenti
Nella seconda fase di “maltrattamento” esplode la violenza attraverso gli agiti del maltrattante tesi a minare la dignità e l’autostima della vittima, siano essi di natura fisica, verbale, psicologica o sessuale.
3 - La luna di miele
Nella terza fase di “luna di miele” il maltrattante si pente e torna a dare attenzioni alla vittima, solitamente scaricando le proprie responsabilità.
Si tratta della fase paradossalmente più pericolosa in quanto è elevatissima la probabilità che la donna perdoni l’aggressore, sminuendo l’accaduto e talvolta rimuovendolo.
Quanto descritto costituisce un ciclo perché, conclusa la fase della luna di miele, la tensione tornerà a crescere, verrà reiterata la violenza e infine l’uomo tornerà a pentirsi.
Quindi ricomincerà una nuova luna di miele, di volta in volta dalla durata sempre più breve e che condurrà al ripresentarsi di agiti di volta in volta di maggior portata.
L’importanza della collaborazione tra l’avvocato e gli altri professionisti.
L’avvocato, sia esso civilista, magari specializzato in diritto di famiglia e minorile, sia esso penalista, ha necessità di collaborare costruttivamente con tutti gli operatori dell’antiviolenza, primi fra tutti gli agenti e gli ufficiali delle Forze dell’Ordine.
"Avvocato, mi aiuti. Cosa devo fare?"
Infatti il legale non deve attivare alcuna mediazione tra la donna e il suo aggressore; al contrario, in presenza di pericolo, deve consigliare di sporgere denuncia e, qualora sussistano riscontri fondati, può ricorrere al Tribunale domandando l’emissione di un ordine di protezione inaudita altera parte.
Il compito delle Forze dell'Ordine
Pertanto è opportuno che gli operatori delle F.O. accolgano la donna esponente la denuncia, la ascoltino per comprendere a fondo i pericoli della situazione, colgano eventuali “campanelli d’allarme”.
E' assolutamente prioritario, oltre che frequente, che essi non la giudichino, non ne sminuiscano i racconti, non la invitino alla conciliazione con il marito.
Si tenga tra l’altro conto della difficoltà per la donna di presentare una querela per reati di questo tipo, che avvengono prevalentemente nella sfera endofamiliare e che coinvolgono spesso anche i figli.
Inoltre l’avvocato incontra problemi di ordine probatorio perché nella maggior parte dei casi esiste esclusivamente la testimonianza della donna, solo talvolta supportata da alcune testimonianze de relato.
Per questo motivo è fondamentale la collaborazione con gli altri professionisti socio sanitari, i cui referti o le cui relazioni risultano fondamentali ai fini delle allegazioni processuali.
La regola delle tre P.
Nonostante l’ultimo intervento del Legislatore del 2019, il fenomeno della violenza è emergente e in continua espansione, pertanto è inevitabile la necessità di accrescere la cultura dell’antiviolenza e la rete a supporto della vittima, attraverso queste tre azioni fondamentali:
1- Prevenire la violenza, che è innanzitutto un fenomeno culturale discriminatorio;
2- Proteggere i soggetti deboli che vogliono uscire dal ciclo della violenza;
3 -Punire il maltrattante e introdurlo a un percorso di supporto presso centri specializzati.
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