Ascolta "Genitori di religioni diverse: tra multiculturalismo e interesse del minore" su Spreaker.
Il costante aumento del fenomeno migratorio, negli ultimi anni, ha fatto dell'Italia una società multiculturale. Tale circostanza se da una parte non può che costituire un'evoluzione per la società e un incontro tra culture, dall'altra porta alla luce delle problematiche a cui sempre più spesso l'Autorità Giudiziaria è chiamata a porre rimedio.
Particolari difficoltà sono sorte in riferimento all'esercizio del ruolo genitoriale, che comporta quotidianamente la necessità di compiere scelte in materia di salute, istruzione, educazione. Difatti, in più occasioni i principi e le usanze dei culti di due genitori di religioni diverse si pongono in contrasto non solo con il nostro ordinamento giuridico, ma addirittura con l'interesse del minore.
La libertà di culto
Preliminarmente occorre ricordare che l'ordinamento italiano riconosce la libertà di culto come uno dei principi fondamentali, garantendo a tutti cittadini italiani e stranieri il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, sia in forma associata che in forma individuale, di farne propaganda e di esercitarne il culto, sia in pubblico che in privato, come sancito dall'art. 19 della Costituzione.
L'art. 20, invece, vieta tutte quelle pratiche vessatorie nei confronti degli enti a sostegno delle confessioni organizzate, in quanto finirebbero per costituire degli ostacoli indiretti alla possibilità di professare la fede, celebrare riti e fare proselitismo.
Il disaccordo dei genitori nella educazione religiosa del minore
La fede religiosa può costituire un aspetto fondamentale nell'individualità del singolo, giocando altresì un ruolo fondamentale nel percorso di crescita di un bambino.
Così tra i vari doveri a cui sono chiamati i genitori può rientrare anche l'educazione religiosa, che nella maggior parte dei casi corrisponde a quello che è l'orientamento comune ad entrambi i genitori.
In ogni caso nel nostro ordinamento vige, in tema di responsabilità genitoriale, il principio di bigenitorialità, che trae origine dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dalla Legge n. 54/2006 in materia di affido condiviso.
Secondo tale principio entrambi i genitori devono essere coinvolti in materia paritaria nel percorso educativo e nella cura dei figli, da intendersi altresì quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione.
Alla luce di ciò, anche in riferimento dunque all'educazione religiosa i genitori accompagnano il figlio in questo percorso, indirizzandolo altresì nella scelta del culto religioso.
Tuttavia, in alcuni casi il percorso educativo non è così semplice, difatti, è possibile che il padre e la madre si possano trovare in disaccordo. Tale problematica ha assunto ancor più rilevanza alla luce della crescente multietnicità che caratterizza la società italiana, con particolare riferimento ai figli delle cosiddette "coppie miste", quelle formate da genitori di religioni diverse.
Cosa succede in caso di disaccordo riguardo proprio l'educazione religiosa dei figli?
L'intervento giurisprudenziale
In primo luogo, è bene chiarire che i giudici non scelgono la religione per il minore, ma semplicemente assumono la decisione migliore sempre avendo riguardo dell'interesse superiore del minore.
Sul punto la Giurisprudenza è unanime nel ribadire che la tutela di tale interesse deve prevalere sulla tutela della libertà religiosa dell'adulto e sulla libertà di educare il figlio.
Pertanto, allorquando uno dei due genitori aderisca ad una confessione religiosa estremista e troppo intransigente o ad atteggiamenti di fanatismo religioso, tali da influire negativamente sulla crescita fisica e psicologica dei bambini, l'appartenenza religiosa del genitore può assumere rilevanza nella disamina da parte del Giudice, che assumerà la decisione migliore per il minore, discostandosi altresì dalla scelta educativa del genitore.
Proprio su tale corrente, è stato elaborato in Giurisprudenza un ulteriore principio a tutela del minore, che trova maggior applicazione nei casi in cui uno dei due genitori cambi fede, abbracciando una diversa religione; è il "principio di continuità", secondo il quale si devono evitare al minore turbamenti e confusione in una fase di ricerca e sviluppo della propria identità.
Tale principio ha trovato conferma anche in Europa dalla Corte europea dei diritti umani, la quale ha ritenuto legittimi gli interventi da parte dei giudici italiani volti a preferire l'interesse del minore rispetto alle scelte religiose dei genitori.
Le problematiche in ordine alle scelte di salute
Rilevanti conseguenze possono avere le scelte religiose anche in relazione a questioni di salute: sono numerosi i casi in cui i genitori, per motivi religiosi, si opponevano a cure e terapie necessarie per i propri figli.
Un esempio è costituito dal divieto imposto dai genitori, Testimoni di Geova, al personale medico per una trasfusione di sangue per il proprio figlio.
In questi casi la Giurisprudenza ha sempre imposto la terapia richiesta e spesse volte provvedeva altresì alla sospensione della responsabilità genitoriale del padre e della madre.
Preme però evidenziare come recentemente con il decreto n 1991/2020 la Corte d'Appello di Milano, revocando il provvedimento con cui il Tribunale per i minorenni aveva limitato l'esercizio della responsabilità genitoriale di una coppia di Testimoni di Geova, precisava come: "il dissenso dei genitori in ordine alle scelte sanitarie relative alla figlia minore, non potrà di per sé solo fondare una valutazione di inidoneità all'esercizio della responsabilità genitoriale".
In particolare, la Corte specifica come alla luce della Legge n. 219/2017, il medico che ritiene necessarie le cure vietate ben può superare questo ostacolo facendo ricorso al Giudice Tutelare.
I reati culturalmente orientati
In alcuni sporadici casi, il fanatismo religioso può portare alcuni genitori a commettere atti di riprovevole rilevanza contro i propri figli.
È tristemente noto il caso di Saman Abbas, la ragazza uccisa dal padre e dagli zii perchè rifiutava un matrimonio combinato con il cugino. Sono ormai, invece, purtroppo, all'ordine del giorno casi di maltrattamenti in famiglia commessi dai capi famiglia.
Nel diritto penale tali comportamenti vengono denominati "reati culturalmente orientati", con tale espressione s'intende sottolineare come alcuni illeciti penali vengano commessi stante l'appartenenza dell'agente ad un gruppo culturale minoritario, nel cui contesto determinati comportamenti, posti in essere dai membri, risultino accettati, approvati ovvero addirittura incoraggiati.
Tale tema è sempre stato dibattutto sia in Dottrina sia in Giurisprudenza. In particolare, la discussione riguarda proprio gli interessi in gioco da tutelare; se da una parte vi è l'esigenza di riconoscere i “costumi” e le “usanze” proprie di alcune culture differenti dalla nostra e, pertanto, il diritto del singolo alla tutela della propria identità culturale e religiosa, dall’altro, vi è il rispetto dei beni e dei diritti fondamentali configurati dall’ordinamento costituzionale presidiati dalle norme penali.
In ragione della necessità di garantire entrambe le esigenze, la Cassazione è sempre rimasta divisa tra chi riconosceva in tali delitti l'esigenza di non punibilità della condotta offensiva penalmente rilevante, parlando in questo caso della cosiddetta "scriminante culturale", e chi, invece, riteneva punibili tali condotte.
Negli ultimi anni si è sempre più spesso affermata quest'ultima corrente giurisprudenziale; difatti, con una recente pronuncia, la n. 30538 del 4 agosto 2021, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha ribadito che è da escludere "la configurabilità di una scriminante culturale in tutti quei casi in cui l’esercizio del diritto dell’agente a rimanere fedele alle regole sociali del proprio gruppo identitario si traduce nella negazione dei beni e dei diritti fondamentali configurati dall’ordinamento costituzionale presidiati dalle norme penali violate."
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