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Gli accordi tra coniugi possono incidere sull'assegno divorzile?

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Al momento del divorzio dei coniugi i presupposti che devono essere accertati in sede di attribuzione dell'assegno di mantenimento al coniuge, lo si ricorda, sono slegati dal tenore di vita che si è mantenuto durante la costanza del matrimonio.
Infatti il Giudice deve verificare:

1. L'esistenza di un'eventuale disparità tra le posizioni economiche di entrambi i coniugi, considerandole complessivamente;
2. Se lo squilibrio sia o meno causalmente collegato o ricollegabile alle scelte adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti.


Tali condizioni devono essere verificate in quanto una delle funzioni assolte dall'assegno divorzile è proprio quella riequilibratrice-perequativa della situazione economica della parte divenuta più debole.
Il collegamento causale tra le scelte effettuate e la riduzione del patrimonio è fondamentale per il riconoscimento, poiché la mera differenza reddituale non sarebbe sufficiente a giustificare la richiesta in sede di separazione o divorzio.
A ciò deve essere ulteriormente aggiunta l'impossibilità oggettiva del coniuge richiedente di migliorare la propria condizione, adoperandosi e attivandosi nella ricerca di un lavoro, anche in considerazione della propria età, qualifica ed esperienza professionale.

Con l'ordinanza n. 21111/2024 emessa dalla Cassazione, la Corte sottolinea come la valutazione di questi requisiti deve essere ponderata anche in relazione agli accordi intercorsi tra i coniugi durante il matrimonio, che di fatto possono modificare l'entità dell'emolumento.

Il caso origina dal riconoscimento operato dal Tribunale di Pordenone alla moglie di un assegno divorzile pari a € 1.000,00 mensili in ragione della sua comprovata partecipazione alle attività professionale del marito e del contributo offerto al suo successo economico; assegno confermato anche in appello, dove la Corte ha respinto l'impugnativa presentata dall'uomo.

Tuttavia l'uomo, ritenendo non correttamente effettuate le valutazioni nei precedenti gradi di giudizio, ha presentato ricorso per Cassazione ritenendo che i Giudici avessero erroneamente considerato come esistente il divario reddituale tra le parti e la mancanza di mezzi adeguati della ex moglie.

La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il motivo di gravame e cassato con rinvio la sentenza impugnata rilevando che i Giudici non avevano considerato gli accordi sottoscritti in sede di separazione tra gli ex coniugi, nei quali era stato previsto un conguaglio di notevole entità, proprio in considerazione dell'attività lavorativa svolta dalla moglie.

Infatti la Corte evidenzia che, oltre a valutare il nesso causale tra lo squilibrio economico e il ruolo endofamiliare assunto, i Giudici devono accertare altresì se lo squilibrio sia o meno già stato compensato da eventuali attribuzioni intervenute negli anni, di cui abbia beneficiato il coniuge economicamente più debole, poiché le stesse hanno già realizzato l'esigenza perequativa perseguita dall'assegno richiesto.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha cassato la sentenza proprio perché nei precedenti gradi di giudizio era stata omessa la verifica sul se, quanto ottenuto in sede di accordo transattivo, avesse o meno già svolto la funzione riequilibratrice, che altrimenti avrebbe dovuto essere assunta dall'assegno divorzile.

In altre parole, ogni caso deve essere valutato in modo molto rigoroso e soprattutto il Giudice deve verificare se, nonostante le attribuzioni patrimoniali, al momento del divorzio, permanga ancora un significativo squilibrio tra i coniugi riconducibile ai sacrifici fatti da uno dei due in favore dell’altro o della famiglia.
La pronuncia della Corte è importante anche sotto un altro profilo, in quanto conferma la validità degli accordi diretti alla divisione dei beni e alla sistemazione dei reciproci rapporti economici.

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