Ascolta "Collocamento paritario per i minori in tenera età: è possibile?" su Spreaker.
Nell'ambito del diritto di famiglia la scelta operata dal giudicante in tema di collocamento del figlio minore, al termine della vicenda processuale di conclusione della relazione sentimentale tra i genitori, deve essere sempre finalizzata al perseguimento dell'esclusivo interesse della prole, sia materiale che morale.
Proprio su questa considerazione si fonda la decisione emessa dalla Corte di Cassazione con l'Ordinanza n. 1486 del 21.01.2025.
La vicenda processuale nasce dalla sentenza emessa dal un Tribunale ordinario, il quale a seguito dell'udienza di comparizione delle parti disposta nel giudizio di separazione dei coniugi, aveva stabilito l'affido condiviso della figlia minore, con collocamento paritario della stessa, nonché un monitoraggio sul nucleo familiare a carico dei servizi sociali al fine di verificare il corretto adempimento del regime di frequentazione fissato nel provvedimento.
Per collocamento paritario, noto anche come parental sharing, si intende un modello di gestione della prole che prevede la divisione equa del tempo tra i genitori, che può essere utilizzato in presenza di alcune condizioni, come ad esempio la vicinanza tra le abitazioni dei genitori separati.
Infatti, nel caso di specie, la tipologia di collocamento in parola veniva disposta sia al fine di garantire al padre il rapporto continuativo con la figlia, anche a fronte di alcune preoccupazioni circa i comportamenti ostativi della madre, sia perché i genitori avrebbero abitato vicino ed essendo ormai la minore di 3 anni e svezzata, si è ritenuto che il suo interesse prioritario fosse quello di avere la possibilità di frequentare in misura paritetica sia il padre, che la madre.
A seguito di tale decisione la madre proponeva reclamo ex art. 473 bis.24 c.p.c., impugnando il provvedimento di primo grado, proprio nella parte in cui veniva disposta quella forma di frequentazione padre-figlia e giustificando le proprie rimostranze proprio sulla base della tenera età della minore, la quale avrebbe necessitato, viste le esigenze legate all’età, di un collocamento prevalente presso la stessa.
La Corte d'Appello accoglie le doglianze della ricorrente e modifica parzialmente il diritto di visita del padre, stabilendo due pomeriggi alla settimana oltre che 2 weekend alternati dal sabato mattina alla domenica sera, statuendo che la circostanza per cui la figlia avesse solo 3 anni, avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado a limitare il ricorso al principio del collocamento paritetico.
Il padre propone ricorso straordinario in Cassazione e, tra i vari motivi censurati, due possono essere definiti quelli principali:
1. La Corte d'Appello ha erroneamente ritenuto che fosse più confacente all'interesse della minore, vista l’età della stessa, una forma di collocamento prevalente presso la madre;
2. In assenza di qualsivoglia giustificazione, ha ridotto il diritto di visita paterno a 4 giorni al mese e a due pomeriggi infrasettimanali per circa 4 ore, di fatto trasformando la frequentazione in senso altamente peggiorativo per lo stesso.
La Corte di Cassazione nell'esaminare i motivi di ricorso evidenzia come la Corte d'Appello abbia operato un giudizio incentrato esclusivamente sull'età della minore, senza prestare attenzione alle modalità di relazione della bambina con i genitori e senza valutare in concreto le condizioni di vita familiare, le quali dimostravano come il padre si fosse sempre occupato negli anni, parimenti alla madre, dell'accudimento della minore.
I Giudici ribadiscono che quando si tratta di decidere sull’affidamento, il collocamento e la frequentazione dei figli con i genitori, il giudice è chiamato a decidere alla luce dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, andando a scegliere tra le diverse soluzioni astrattamente possibili quella che in concreto consente di realizzare il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e conseguentemente di riceverne cura, educazione, istruzione e assistenza morale, non potendo essere adottati provvedimenti che limitino grandemente la frequentazione tra uno dei genitori e il figlio.
Per tali ragioni la Suprema Corte cassa la decisione di secondo grado e rimette gli atti alla Corte D'Appello.
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