Evidente secondo i Giudici della Suprema Corte, l’interferenza compiuta dal marito ai danni della vita privata della consorte. Irrilevante il fatto che le credenziali di accesso fossero state fornite tempo addietro dalla donna al marito.
(Corte di Cassazione , Sez.V penale , sentenza n.2905/19, depositata oggi)
Ha preso possesso facilmente del profilo Facebook della moglie, ne ha approfittato per fotografare una chat di lei con un altro uomo – documentazione, questa, poi utilizzata dinanzi al Giudice per la separazione – e per completare l’opera ha modificato la password, così impedendo alla consorte di riprendere possesso della propria pagina personale sul noto social network.
Inevitabile la condanna per il marito, che ha agito per gelosia, a suo dire, ma clamorosamente violando la privacy della moglie. Irrilevante, osservano i Giudici, il fatto che egli avesse ottenuto proprio dalla moglie – prima che la loro coppia entrasse in crisi – le credenziali – nome utente e password – per l’accesso online (Cassazione, sentenza n. 2905/19, sez. V Penale, depositata oggi).
Accesso. Linea di pensiero comune per i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello: il marito finito sotto accusa per avere effettuato un accesso al profilo Facebook della moglie va condannato per la clamorosa «interferenza illecita nella vita privata» della donna.
Difficilmente equivocabile, difatti, il comportamento tenuto dall’uomo. Egli è entrato facilmente nel profilo Facebook della moglie «grazie al nome utente e alla password a lui noti da prima che si incrinasse la loro relazione» e poi ne ha approfittato per «fotografare una chat intrattenuta dalla consorte con un altro uomo». Per giunta, l’uomo ha anche provveduto a «cambiare la password di accesso, sì da impedire alla donna» di entrare nella propria pagina personale sul social network.
Abuso. Inutile si rivela il ricorso proposto dall’uomo in Cassazione. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, vi sono alcuni elementi che inchiodano il marito alle proprie responsabilità: in particolare, «la conoscenza che l’uomo aveva delle credenziali di accesso» alla pagina Facebook della moglie, e «la resa dei conti avvenuta mostrando alla moglie la chat» rubata online e «poi prodotta nel giudizio di separazione». Senza dimenticare, infine, «la circostanza obiettiva della connessione servita per modificare la password» del profilo e riferita alla «casa del padre» dell’uomo.
Quadro chiarissimo, quindi, e pesantissimo a carico del marito. Quadro che non può essere scalfito, concludono i Giudici della Cassazione, dal richiamo difensivo al fatto che «la moglie aveva reso note al marito le chiavi di accesso» al social network, così fornendo quella che, secondo il legale dell’uomo, era «un’implicita autorizzazione all’accesso» on line.
In sostanza, se la donna ha in passato – e prima della rottura – fatto conoscere al marito nome utente e password, non si può comunque escludere «l’abusività degli accessi» on line compiuti successivamente dall’uomo, osservano i Giudici. Soprattutto perché il marito ha così potuto ottenere «un risultato certamente in contrasto con la volontà della moglie», ossia «la conoscenza di conversazioni riservate» e addirittura «l’estromissione della titolare dall’account Facebook».
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