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Si possono spiare le chat dai telefoni di partner e figli?

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Può capitare che in casi di sospetto tradimento da parte del coniuge, il marito o la moglie cerchino delle prove controllando (o spiando) le chat o le conversazioni sui dispositivi elettronici del partner.
Accade ancora più spesso che un genitore eserciti un controllo sul proprio figlio attraverso l'esame delle sue attività sullo smartphone.
Approfondiamo le due fattispecie anche sotto il profilo penale.


L'articolo 615ter c.p. prevede che "Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni".

Il reato consiste nell’introduzione in un “sistema informatico”, definito dalla Convenzione Europea di Budapest del 23.11.2001 come “qualsiasi apparecchiatura o gruppo di apparecchiature interconnesse o collegate, una o più delle quali, in base ad un programma, compiono l’elaborazione automatica dei dati” ed anche in un “sistema telematico”, ossia in un insieme di apparecchiature che consentono la trasmissione di dati a distanza, tramite linguaggio computerizzato.

Affinchè si possa ritenere che l’introduzione sia illecita, i sistemi devono essere protetti da misure di sicurezza, anche semplicemente una password.
In particolare, tale delitto si configura allorquando un soggetto, contro la volontà del titolare del dispositivo, si introduce nel sistema per leggere, estrarre o copiare i contenuti del suddetto.

Per la configurazione del reato non rileva l'eventualità che le password siano note all'autore per averle ricevute dall'interessato, (il quale avrebbe quindi fornito un'implicita autorizzazione all'accesso) dato che la condotta incriminata porta ad un esito certamente in contrasto con la volontà della persona offesa, cioè la conoscenza di conversazioni private.

La conoscenza della password da parte del soggetto agente non coincide con la volontà del titolare dell'account ad una violazione della privacy.
Il reato, insomma, si configura non soltanto quando il colpevole violi le misure di sicurezza poste a presidio del sistema informatico o telematico altrui, ma anche quando, pur inizialmente legittimato all'accesso da colui che aveva il diritto di ammetterlo o escluderlo, vi si mantenga per finalità differenti da quelle per le quali era stato inizialmente facoltizzato all'ingresso.

Tale delitto è procedibile a querela della persona offesa, tranne i casi previsti dal secondo e terzo comma che sono procedibili d’ufficio. Tale procedibilità implica che il fatto sarà perseguito penalmente solo se la vittima si rivolgerà all'Autorità Giudiziaria entro 3 mesi dalla scoperta del fatto.

Casi in cui la Cassazione ha condannato il partner ai sensi dell'art. 615 ter c.p.

Un marito trova il computer della moglie acceso e con la pagina Skype aperta; legge e stampa alcuni messaggi della moglie e li utilizza nel giudizio di separazione.

L'uomo è stato condannato per essersi intrattenuto all'interno del sistema telematico protetto da misure di sicurezza, leggendo e stampando le conversazioni (cfr. Cassazione 34141/2019).

Un marito, conoscendo le password, accede al profilo Facebook della moglie e fotografa la chat tra la donna ed un altro uomo. Anche in questo caso è stato condannato per il reato in questione (cfr. Cassazione 2905/2019).

Una donna, regolarmente in possesso della password della mail del marito, accede alla casella di posta elettronica e modifica la password e la frase di recupero della stessa. Anche in tale circostanza, l'azione coincide con un illecito penalmente rilevante (cfr. Cassazione 52572/2017).

Il reato ex art. 617 bis c.p.
Installazione di apparecchiature atte a captare o impedire comunicazioni telefoniche o telegrafiche altrui


Anche l'installazione di un'applicazione, cosiddetta "spy-software", sul telefonino del proprio partner costituisce condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 617 bis c.p., delitto che prevede che: "Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, al fine di prendere cognizione di una comunicazione o di una conversazione telefonica o telegrafica tra altre persone o comunque a lui non diretta, ovvero di impedirla o di interromperla, si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti idonei intercettare, impedire od interrompere comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni".

Controllare il telefono al figlio minorenne

Con riferimento, invece, al controllo da parte del genitore del telefonino in uso al minore è bene osservare che la Giurisprudenza si è sempre espressa in modo contrastante.
Se da una parte, la Convenzione sui diritti dell'infanzia del 1989 sancisce che anche i minori hanno diritto alla privacy, anzi hanno diritto all’astensione dei genitori delle interferenze nello svolgimento della loro vita privata, ciò non significa che gli stessi non possano esercitare gli opportuni controlli.
Difatti, il diritto alla riservatezza e alla privacy può essere compresso in virtù della tutela dell'interesse dei figli.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 41192 ha confermato una condanna per il reato di cui all'articolo 617 del codice penale inflitta dai giudici di merito a un uomo separato che aveva registrato le conversazioni tra la ex consorte e i figli.
"Il diritto/dovere di vigilare sulle comunicazioni del minore da parte del genitore non giustifica indiscriminatamente qualsiasi illecita intrusione nella sfera di riservatezza del primo (espressamente riconosciutagli dall'art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dallo Stato italiano con legge 27 maggio 1991, n. 176), ma solo quelle interferenze che siano determinate da una effettiva necessità, da valutare secondo le concrete circostanze del caso e comunque nell'ottica della tutela dell'interesse preminente del minore e non già di quello del genitore".
Dalla lettura di questa sentenza, dunque, emerge che  la prevalenza del diritto/dovere genitoriale di vigilanza sul diritto alla riservatezza dei minori deve essere giustificata da una effettiva necessità.

Diversamente da quanto statuito da questa sentenza, il Tribunale di Parma con la sentenza n. 628/2020 si esprime in maniera più severa rispetto al diritto alla privacy del minore, dichiarando che i genitori sono tenuti a controllare i figli, se necessario anche mediante controlli e verifiche che possono, e talvolta devono, essere penetranti al fine di proteggere i figli dal pericolo di gravi pregiudizi.

Al genitore è consentito dunque vigilare sulle comunicazioni dei figli, ma serve un'effettiva necessità per giustificare tale ingerenza.
Il caso che ha interessato il tribunale di Parma è quello di una coppia con due figli gemelli di 14 anni, finita in tribunale per la causa di divorzio; tra i motivi di attrito proprio l’utilizzo degli smartphone da parte dei figli minorenni.
I genitori avevano concordato l’acquisto dei dispositivi elettronici, ma non avevano discusso sull’utilizzo che ne dovessero fare i figli.

Così la madre aveva installato un software di parental control che le aveva consentito di monitorare l’attività di navigazione online.
Controllo ritenuto lecito per il giudice, visto che anche grazie al software-spia la madre aveva scoperto che uno dei figli fumava sigarette elettroniche, pubblicava video contro la propria scuola e partecipava a chat di gruppo su WhatsAspp in cui venivano condivisi contenuti pedopornografici.

Per approfondire leggi anche:

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Marito sospettoso entra nel profilo facebook della moglie: condannato

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