Con la costituzione di una famiglia vengono a crearsi dei reciproci obblighi, sia morali che materiali, tra i membri che la compongono e proprio in conseguenza di ciò il diritto prevede una specifica tutela per i casi di violazione, in particolar modo quando viene meno il rapporto tra i coniugi con relativo obbligo al mantenimento.
Rientrano in questa fattispecie i casi in cui un genitore si disinteressa del figlio, sia sotto il profilo patrimoniale che sotto quello affettivo, o non patrimoniale.
In passato, si riteneva che tali forme di tutela non potevano rientrare nell'ambito applicativo dell'art. 2043 c.c.. In altri termini, si escludeva che, in caso di illecito endofamiliare, fosse configurabile una responsabilità risarcitoria di un familiare verso l’altro.
A partire dalla 9807/2005 della Cassazione tale opinione è stata totalmente modificata ed si è ufficialmente e definitivamente legittimato l’ingresso della responsabilità civile risarcitoria in ambito endofamiliare.
Il danno da privazione genitoriale
Se il caso tipico di tutela, nell'ambito di un matrimonio, è l'addebito della separazione, una recente sentenza del Tribunale di Bari ha condannato il genitore a risarcire il danno inflitto ai propri figli, cioè il cosiddetto danno da privazione parentale.
Il caso ha origine dalla richiesta di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata dalla moglie nei confronti del marito.
La ricorrente chiedeva che venissero confermate le condizioni della separazione e, visti i reiterati inadempimenti del marito in merito al versamento del mantenimento, richiedeva l'emissione di provvedimenti de potestate, cioè inerenti la responsabilità genitoriale.
L'uomo non negava il suo inadempimento alle prescrizioni economiche della separazione ma ciò, a detta dello stesso, non inficiava la sua piena capacità genitoriale.
Affidamento condiviso e affidamento esclusivo
I giudici baresi dispongono l’affido esclusivo dei figli in capo alla madre, richiamando la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità sulla deroga all’affido condiviso e sostenendo che a favore di tale affidamento esclusivo deponesse non solo il disinteresse materiale del padre, ma anche quello morale.
Il convenuto infatti non incontrava da diverso tempo i propri figli, né, come sostenuto dalla madre, non versava loro il mantenimento previsto nonostante percepisse una retribuzione derivante da lavoro dipendente e un canone locativo di un immobile di proprietà.
Dato di particolare interesse è che il Tribunale ha ritenuto che il comportamento omissivo del padre abbia leso il principio della bigenitorialità e per tale ragione si fosse consumato il danno da privazione paterna in capo ai minori. Il danno è stato quantificato, secondo equità, in € 2.000,00.
Il danno da privazione paterna
Il danno da privazione paterna è un illecito endofamiliare derivante dalla privazione del rapporto genitoriale, il quale prevede, come soggetto attivo il genitore che omette di svolgere il ruolo da egli stesso scelto con la procreazione, mentre come soggetto passivo il minore, che perde, senza sua colpa, uno dei genitori (come sottolineato dal Tribunale di Lecce sez. I, nella sent. n.3024/2019).
Tale danno deriva proprio dalla concezione di famiglia presente nel nostro ordinamento dove, grazie ai genitori, il minore riesce a sviluppare la propria identità.
Se tale soggetto viene privato della "famiglia", allora l'unica conclusione è che si configuri un diritto al risarcimento del danno in capo al minore che abbia patito in conseguenza dell'assenza del genitore e il pregiudizio è di due tipi:
- Patrimoniale: perdita del sostegno economico che il minore avrebbe avuto se il genitore fosse stato presente, nonché dalla perdita delle opportunità che il figlio avrebbe potuto avere se fosse stato educato e cresciuto dal proprio genitore;
- Non patrimoniale: si riferisce alla lesione subita dal rapporto familiare, vissuto come uno strappo nella connessione con la propria famiglia, per volontà unilaterale del genitore.
Le Sezioni Unite proprio in tema di danno non patrimoniale con la sent. n. 28742/2008 ha stabilito che il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cosiddetto esistenziale, non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c., dovendo consistere:
• nel radicale cambiamento di vita,
• nell'alterazione della personalità,
• nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto.
La sentenza in esame del Tribunale di Bari, invece, riconosce solamente in ragione del comportamento omissivo del genitore il danno in capo ai minori.
Il Tribunale non sembra considerare che per l'adozione della misura risarcitoria devono sussistere tutti i presupposti tipici del rimedio risarcitorio, e cioè: un concreto pregiudizio e il nesso di causalità tra la condotta illecita e il pregiudizio stesso; in mancanza, un determinato comportamento lesivo non può essere sanzionato.
La sentenza dunque pare porsi in discontinuità rispetto alla giurisprudenza consolidata.
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