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Il convivente di fatto nell'impresa familiare

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Con la recente pronuncia 148 del 2024 la Corte Costituzionale è intervenuta in modo significativo in materia di impresa familiare, disciplinata ad oggi dagli artt. 230 bis c.c.e 230 ter c.c.
In particolare, il suddetto intervento è volto ad aumentare la tutela del convivente di fatto che collabora nell'impresa familiare.
Innazittutto occorre soffermarsi sulla nozione d'impresa familiare e sulla suddetta disciplina codicistica.


Cos'è l'impresa familiare?

L’impresa familiare può definirsi come l’attività economica alla quale collaborano, in modo continuativo, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso rapporto.
Il familiare che presta il lavoro nell'impresa o nella famiglia ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.

Tale disciplina mira ad impedire che, nella comunità familiare, si sviluppino situazioni di sfruttamento, e supera l’originaria presunzione di gratuità, che caratterizzava il lavoro familiare; il quale, in quanto ritenuto fondato sull’affetto vissuto dai famigliari (affectionis vel benevolentiae causa), rimaneva privo, non di rado, di corrispettivo.
Essa, dunque, assicura, al famigliare lavoratore, una posizione partecipativa, che consta di diritti patrimoniali e amministrativi.

La Legge Cirinnà: introduzione dell'art. 230 ter c.c.

Significativo intervento in materia è stato previsto dalla Legge n. 76/2016, la cosiddetta Legge Cirinnà, la quale introduceva nell'ordinamento l'art. 230 ter c.c..
Tale norma dispone che: "Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato."

Tale legge definiva all'art. 1, comma 36  conviventi di fatto quali "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale".
Pertanto, con la suddetta norma viene riconosciuta anche una tutela al convivente di fatto che collabora nell'impresa familiare.


La sentenza n. 148/2024 della Corte Costituzionale

Nonostante l'intervento normativo da parte della Legge Cirinnà, le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, ritenevano tale tutela non completa e sollevavano questioni di legittimità costituzionale della disciplina dell'impresa familiare - in riferimento, in particolare, agli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione - nella parte in cui il convivente more uxorio non era incluso nel novero dei «familiari».

La Corte Costituzionale con la sentenza in commento ha accolto le questioni rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

Difatti, la Consulta ritiene che sebbene rimangano le differenze di disciplina della convivenza di fatto rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, in ogni caso, quando si tratta di diritti fondamentali, come nel caso di specie il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni.
La Corte ribadisce altresì che la tutela al lavoro è strumento di realizzazione della dignità di ogni persona sia come singolo che quale componente della comunità, a partire da quella familiare.

Alla luce di ciò, la Corte ha ampliato la tutela apprestata dall'art. 230 bis c.c. anche al convivente di fatto e conseguentemente ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 230 ter c.c., rilevato che tale norma, innovativa all'epoca dell'introduzione della stessa, ad oggi comporta un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione nell'attribuire al convivente di fatto una tutela ridotta non comprensiva del riconoscimento del lavoro nella famiglia, del diritto al mantenimento, nonchè dei diritti partecipativi nella gestione dell'impresa familiare.

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