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Totale disinteresse del genitore: sì alla modifica del cognome

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La vicenda risolta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8422/2023 trae origine dal rifiuto emesso dalla Prefettura di Prato, nei confronti della richiesta di cambio del cognome depositata da una figlia a seguito degli atteggiamenti tenuti dal padre.
L'istanza di modifica veniva giustificata allegando i diversi comportamenti tenuti dal genitore a seguito della separazione ed il divorzio dalla madre, intervenuto molti anni prima, i quali da quel momento si erano sempre caratterizzati dall'assoluto disinteresse nei confronti della figlia richiedente, con la quale il soggetto non ha mai avuto interesse ad istaurare e costruire un legame affettivo, dimostrando un totale disinteressamento anche materiale, arrivando persino a non salutarla nei pochi incontri che si sono verificati nel tempo.


Proprio a causa di questi avvenimenti, la ricorrente avanzava la propria richiesta sottolineando di voler assumere solo il cognome materno, al fine di – scrive la ricorrente - "onorare l'impegno e la forza con cui la figura materna ha saputo compensare un vuoto e una ferita che avrebbero potuto causare conseguenze assai più dannose e cicatrici più profonde sulla mia persona e dentro di me".

Tuttavia, queste motivazioni, per la Procura di Prato non risultavano sufficienti per poter accogliere la richiesta, giustificando la propria decisione sottolineando che "il nome e il cognome sono elementi fondanti dell'identità personale e (...)” la loro modificazione "può essere ammessa solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata e pregnante documentazione e da solide e significative motivazioni".

La signora decide di impugnare la decisione e di adire il TAR della Toscana, evidenziando che, nel proprio rigetto, tra gli altri vizi lamentati, l'Amministrazione non aveva indicato "specifiche ragioni di interesse pubblico" che si ritengono ostative all'accoglimento della richiesta e quindi fosse incorsa in un vizio di motivazione.

In secondo grado, il Tribunale accoglie le rimostranze della figlia e l'Amministrazione, costituitasi in giudizio, decide di impugnare la decisione davanti al Consiglio di Stato affermando che il diritto al nome "deve fronteggiarsi con l'esigenza pubblicistica alla stabilità e alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale, e quindi, alla certezza degli atti e dei rapporti giuridici", richiamando a sostegno delle proprie ragioni anche l'articolo 6 c.c. secondo cui non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità di legge indicati, e sottolineando come non esista un diritto soggettivo al cambiamento del nome, ma al più un mero interesse legittimo – che comunque può essere tutelato in sede amministrativa, ove ne ricorrano i presupposti.

Il Consiglio di Stato, comunque, rigetta l'appello e si discosta totalmente dalle interpretazioni prospettate dall'Amministrazione procedente.
Infatti secondo i Giudici, pur riconoscendosi l'esistenza di un interesse legittimo a scegliere il proprio nome, devono essere in ogni caso prese in considerazione le modifiche intervenute nella giurisprudenza, non solo italiana della Corte costituzione, ma anche di quella europea, la quale ha totalmente modificato la propria concezione relativa al nome, dando maggiore rilievo alla valorizzazione del diritto all'identità personale e abbandonando l'idea di segno distintivo della famiglia di origine.

Proprio per tali ragioni, il Consiglio di Stato ritiene che le motivazioni prodotte dalla ricorrente fossero sufficienti a sostenere la propria domanda, definendole serie e ponderate e sostenendo che: "Il cambio di cognome costituisce, per la richiedente, lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale".

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