La mente annebbiata non giustifica qualsiasi espressione tra marito e moglie, neppure in casi isolati.
La sentenza n.54053 depositata in data odierna dalla Cassazione ha stabilito che rivolgersi alla propria moglie o al proprio marito con epiteti volgari, parolacce o insulti puo’ comportare il reato per maltrattamenti in famiglia.
Nella fattispecie esaminata, il marito aveva usato per l’appunto “epiteti volgari” nei confronti della consorte ed in un caso ne aveva provocato la caduta.
Secondo la Suprema Corte, il comportamento dell’uomo che in ben 4 episodi si era comportato con la moglie nella maniera sopra citata, integra l’elemento oggettivo del delitto di “maltrattamenti in famiglia” (art.572 c.p.) che comprendono “il compimento di piu’ atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo invece sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo, idonea a determinare la sofferenza fisica e morale continuativa della parte offesa”.
A nulla sono valse le difese dell’imputato che sosteneva trattarsi di 4 episodi sporadici commessi in un brevissimo arco temporale.
La Cassazione ha ritenuto l’uomo colpevole del reato di “maltrattamenti in famiglia” ed ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Bari.
L’art.572 c.p. (Maltrattamenti in Famiglia), prevede la reclusione da due a sei anni.
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