La Corte di Cassazione penale, numero 318 del 2021, depositata proprio lo scorso 7 gennaio, si è pronunciata in favore di un ginecologo, che era stato imputato del reato di rivelazione del segreto professionale, nonchè di diffamazione; in particolare, la persona offesa era l'ex marito di una paziente del medico prosciolto.
Era accaduto che la coppia, avendo gravi difficoltà nel procreare ed avendo esprito numerosissimi tentativi di fecondazione omologa, si rivolgeva al ginecologo affinchè seguisse la moglie nel percorso di inseminazione artificiale. Nonostante l'esito positivo dell'intervento, da cui è infatti nata una bambina, i coniugi decidevano di separarsi.
Successivamente il marito esperiva un'azione di disconoscimento della paternità, producendo un certificato medico che attestava la sua “severissima infertilità”. Conseguentemente, la ex moglie domandava al ginecologo il rilascio del certificato in questione, al fine di poterlo produrre nel processo civile a tutela dell'interesse superiore della figlia.
Per il fatto di aver rilasciato alla donna il suddetto certificato, veniva iscritto a carico del ginecologo veniva il reato di rivelazione del segreto di ufficio; in particolare l'ex marito riteneva che il medico, nel rilasciare la certificazione, aveva rivelato senza giusta causa delle circostanze coperte dal segreto professionale; perciò l'uomo accusava il professionista di aver posto in essere una violazione dell'articolo 622 del codice penale, per il quale è punito "chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto".
La Corte d’Appello di Torino proscioglieva l’imputato dai reati di rivelazione di segreto professionale e di diffamazione, in quanto estinti per prescrizione, affermando la responsabilità del ginecologo ai soli effetti civili.
Pertanto, l'imputato proponeva ricorso per Cassazione, ove denunciava la violazione di legge e il vizio di motivazione inerente alla ritenuta sua responsabilità: la difesa del ginecologo era incentrata sul fatto che la notizia relativa all'infertilità della persona offesa della sua paziente era già stata resa nota dall'ex marito, che aveva prodotto il certificato tra gli allegati introduttivi della causa di disconoscimento della paternità; sosteneva inoltre che il rilascio del certificato servisse alla paziente per tutelare l'interesse superiore della figlia minore.
Accogliendo i motivi sostenuti dall'imputato, la Corte di cassazione ha ritenuto che "non si possa affermare che l’imputato abbia rivelato le circostanze menzionate inerenti al marito della paziente, essendo stato quest’ultimo il primo a rivelare tali circostanze al momento dell’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità nei mesi precedenti".
Per queste ragioni, la sentenza della Corte di Appello è stata annullata limitatamente agli effetti civili, e la decisione è stata rinviata per un nuovo giudizio al giudice civile competente.
Grazie a questa pronuncia è stato chiarito che la clausola della giusta causa, contenuta nell'articolo 622 del codice penale, deve essere interpretata in modo elastico perchè funge da valvola di sicurezza del meccanismo repressivo: in altre parole la nozione di giusta causa consente di escludere l’illiceità della rivelazione coperta da segreto professionale tutte le volte in cui, dal bilanciamento degli interessi in gioco, lo scopo lecito non risulti altrimenti realizzabile.
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