Argomento sicuramente complesso e controverso, la procreazione medico-assistita (PMA), conosciuta anche sotto il nome di "fecondazione artificiale", è l’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento in tutte le coppie; nello specifico in tutti quei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto ovvero nei casi in cui altri interventi farmacologici e/o chirurgici siano inadeguati.
La procreazione assistita si avvale di diversi tipi di tecniche rappresentate da opzioni terapeutiche più o meno complesse e/o invasive, tutte con buone probabilità di successo.
Tuttavia può accadere, in alcuni casi, che insorgano complicazioni o imprevisti di varia natura, ed è proprio in questa casistica che si inserisce la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta).
Fecondazione artificiale non andata a buon fine
La vicenda, iniziata nel 2018, vede protagonisti una coppia che decide di ricorrere alla procreazione medico-assistita per realizzare il sogno di diventare genitori. Il percorso si dimostra, da subito, lungo e complesso; difatti dopo un primo tentativo di impianto fallito e alcune problematiche di salute insorte nella donna, la coppia decide di attendere e di crioconservare gli embrioni. Conservazione permessa a seguito della sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale, la quale ha modificato la legge 40/2004 che in Italia regolamenta la fecondazione artificiale.
Dopo la separazione la donna può usare gli embrioni fecondati?
Nel frattempo il rapporto di coppia inizia a incrinarsi e si apre il procedimento di separazione. Nonostante questa situazione sopravvenuta e il contrario parere dell'ex marito all'utilizzo degli embrioni, l'ex moglie, non intenzionata a rinunciare al suo sogno di diventare madre, decide di rivolgersi al Tribunale per vedere riconosciuto il proprio diritto all'impianto degli embrioni, vista inoltre l'oramai non più giovane età della stessa.
Infatti, evidenze scientifiche indicano che la fertilità nella donna subisce un primo calo significativo già intorno ai 32 anni, fino a quasi azzerarsi negli anni che precedono la menopausa, che in genere si verifica intorno ai 50 anni e in merito alla tecnica della procreazione assistita si osserva un calo delle percentuali di successo, dopo i 40 anni, che risultano essere molto più limitate.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), nell'ordinanza del 27/01/2021, ha affermato che se vi sono embrioni congelati, prodotti dalla coppia, questi possono essere impiantati anche dopo molto tempo nell'utero della donna, anche solo con il consenso della madre.
Tale decisione si fonda essenzialmente sull'art. 6 della l. 40/2004, il quale prevede che il consenso alla procreazione medicalmente assistita può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo. La norma, dunque, si dimostra molto chiara nell'escludere la possibilità di una revoca del consenso che intervenga successivamente a quel momento.
La vicenda è certamente controversa e merita attenzione sotto diversi profili.
In primo luogo sotto il profilo dello sfasamento temporale tra la fecondazione dell'ovulo e il suo impianto. Diventa, quindi, lecito chiedersi se non sia necessario, dopo il primo consenso alla fecondazione, un successivo e nuovo consenso per l'impianto effettivo in utero da parte di entrambi i genitori.
Sul punto era intervenuta la Corte di Cassazione che, in una vicenda di fecondazione eterologa effettuata all'estero, avvenuta prima della liberalizzazione di tale pratica in Italia, ha implicitamente ritenuto sufficiente l'iniziale consenso del marito, a nulla rilevando una revoca intervenuta tardivamente (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30294).
Tale pronuncia, tuttavia, è stata resa in una fattispecie in cui non vi era alcuna separazione coniugale o un inizio di separazione. Ed è proprio questo il secondo punto che dovrebbe meritare attenzione: è ammissibile da parte del marito la revoca del consenso, tra la fecondazione e l'impianto, se sia intervenuta la separazione personale o sia stato instaurato il relativo procedimento?
La separazione tra coniugi infatti determina la cessazione della convivenza e del progetto di vita in comune che la coppia aveva, convivenza che risulta essere, tra l'altro, uno dei requisiti fondamentali per poter accedere alla fecondazione artificiale.
Da ultimo si pone il problema afferente allo status del nascituro: se il lieto evento dovesse avere luogo e la nascita avvenisse prima dei trecento giorni dalla separazione o dall'autorizzazione presidenziale a vivere separati, opererebbe la presunzione di paternità (in questo caso certamente rispondente al vero trattandosi di fecondazione omologa) ed il figlio nato acquisirebbe lo status di figlio matrimoniale della coppia, ai sensi dell'art. 232 comma 2 c.c., con tutti gli oneri genitoriali che comporta questa attribuzione.
La decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, essendo la prima in tal senso, è sicuramente destinata a creare un precedente di non poco conto in una materia delicata come la procreazione medico-assistita, ma sicuramente apre un'altra questione di preminente importanza e cioè che sia ormai indifferibile un organico intervento legislativo, volto a ridisciplinare ed aggiornare la materia trattata dalla L. 40/2004.
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