Nonostante pubblicare video e immagini sui social consista ormai in un automatismo quotidiano, è sempre meglio aver ben chiaro se sia lecito farlo o quando sia meglio evitare, sia che le immagini riguardino persone adulte che nel caso di soggetti minori.
La regola generale da cui si deve partire è fissata grazie al combinato disposto dell’articolo 10 del codice civile con gli articoli 96 e 97 della Legge sul diritto d’autore, per cui solo il previo consenso dell’interessato rende lecita la pubblicazione dell’immagine. Nello specifico, con riguardo ai social, è in uso parlare di consenso digitale per indicare il consenso espresso o tacito necessario per l’utilizzo dei servizi telematici, tra cui rientrano le piattaforme telematiche tramite cui è possibile creare proprio account.
Di conseguenza sembrerebbe che delineare la sussistenza del consenso sia facile, almeno in teoria, quando ad essere ritratto nella foto o nel video è un soggetto adulto.
Al contrario sorgono problemi che necessitano di chiarimenti tutte le volte in cui a circolare siano contenuti di bambini, messi in condivisione da adulti o da altri minori.
Pubblicare foto di minori sui social
Innanzitutto è pacifico che, ogniqualvolta in cui l’interessato al consenso sia un minorenne, spetta automaticamente ai genitori esprimersi favorevolmente di comune accordo per la pubblicazione, in base al principio della responsabilità genitoriale condivisa.
In altri termini garantire la tutela della vita privata digitale del minore è un compito della mamma e del papà. In loro assenza, la decisione spetta al titolare della responsabilità genitoriale.
Genitori in disaccordo, come fare?
In generale, dunque, come possono regolarsi i genitori che si trovino tra loro in disaccordo sulla facoltà di rendere pubbliche delle foto o dei video ritraenti i figli di entrambi, anche nei riguardi di soggetti terzi?
L’esperienza giurisprudenziale degli ultimi tre anni insegna che, così come per ogni questione di particolare interesse riguardante i figli, anche in tema di consenso digitale la madre o il padre sono legittimati ad adire il giudice, domandando l’applicazione di una misura inibitoria che imponga all’altro genitore o al soggetto terzo il divieto di diffondere l’immagine del figlio; addirittura l’istanza può contenere la richiesta di rimozione di foto o video ritraenti la prole già pubblicati, oltre eventualmente al risarcimento dei danni arrecati al decoro e alla reputazione del minore.
Sul punto è nota la pronuncia del Tribunale di Mantova. Infatti in quel caso il Collegio, presieduto dal Dott. Mauro Bernardi, decideva che “l’inserimento di foto dei figli minori sui social network avvenuto con l’opposizione di uno dei genitori integra violazione della norma di cui all’art. 10 c.c. (concernente la tutela dell’immagine), del combinato disposto degli artt. 4,7,8 e 145 del d. lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (riguardanti la tutela della riservatezza dei dati personali) nonché degli artt. 1 e 16 I co. della Convenzione di New York del 20-11-1989 ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 991 n. 176, sicché va vietata la pubblicazione di tali immagini e disposta la rimozione di quelle già inserite”.
Rimozione delle immagini e risarcimento danni
Addirittura, come rafforzativo dell’efficacia dell’inibitoria, in una fattispecie i giudici hanno disposto favorevolmente una misura di coercizione indiretta, consistente nella fissazione di una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni inosservanza successiva o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Questo caso è stato oggetto della decisione del Tribunale di Roma, adito con ricorso dal figlio minorenne ultrasedicenne, contrario alla diffusione sui social da parte della madre di immagini e di notizie relative alla vita privata del ragazzo.
In particolare con Ordinanza del 23 dicembre 2017, i giudici della capitale sono intervenuti sulla questione ordinando che la donna rimuovesse le immagini del figlio, oltre al pagamento di 10mila euro a favore del minore.
Per quanto esistano dei principi cardine a cui la medesima giurisprudenza si affida nel dirimere le controversie analoghe a quelle riportate, tuttavia ad oggi non è stata ancora realizzata una disciplina uniforme sul consenso digitale del minore; un intervento legislativo sul punto si rende particolarmente necessario a tutela di tutti i soggetti che, usciti dall’infanzia, iniziano a fare uso assiduo dei social ben prima del raggiungimento della maggiore età.
Ad oggi la fonte normativa principale sul consenso digitale del minore è art. 8 del Regolamento Europeo n. 679/2019. Infatti tale disposizione del GDPR prevede che “nell’ambito di offerte dirette di servizi ai minori, il trattamento dei dati sia lecito ove il minore abbia almeno 16 anni ma gli Stati membri possono stabilire un’età inferiore, purché non inferiore ai 13 anni.
In particolare l’Italia ha fissato il termine dei quattordici anni come limite di età a partire dal quale il minore possa esprimere il proprio consenso. In altri termini il nostro legislatore ha ritenuto che, superati i quattordici anni, il ragazzo abbia la capacità di autodeterminarsi rispetto a situazioni che gli consentano di spendere la propria personalità, in considerazione della sua maturazione mentale e a prescindere dall’età anagrafica.
Per i soggetti con età inferiore, sposando quanto già il nostro ordinamento dispone come principi generali, il GDPR ha stabilito che “il consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale” e prevede che “il titolare del trattamento si adoperi in modo ragionevole per verificare che il consenso sia prestato dal titolare della responsabilità genitoriale”.
Tuttavia queste disposizioni non prevedono un metodo univoco di verifica del consenso e, in ogni caso, rimane alto il rischio di dichiarazioni false sull’età anagrafica al momento della sua prestazione.
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