L'ordinanza della Corte di Cassazione n. 28646/2021 segna l'epilogo di una vicenda giudiziale iniziata diversi anni prima.
In un giudizio per la cessazione dagli effetti civili del matrimonio, il Tribunale adito aveva disposto in favore della moglie un assegno divorzile, poiché era stata accertata una forte sproporzione reddituale tra le parti, consentendo così alla donna di conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
L'ex marito proponeva appello, ma anche in secondo grado la decisione venne confermata. Solo in Cassazione viene accolto il ricorso dell'uomo.
Il tenore di vita e la sproporzione reddituale
La Corte suprema, con l’ordinanza n. 20525/2017, dispose il rinvio ai giudici territoriali affinché si attenessero ai principi affermati nella sentenza n. 11504/2017, divenuta famosa in quanto escludeva, ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, l’utilizzo del parametro del tenore di vita goduto dall’ex coniuge e statuendo quindi un'insussistenza del diritto a percepire il medesimo sin dal principio.
I giudici del rinvio, tuttavia, disponevano sì la revoca dell’assegno previsto dall'art. 5 Legge sul Divorzio, ma condannavano la donna alla restituzione di solo quanto percepito a far data dal deposito dell’ordinanza della Cassazione.
L'ex coniuge, per tale ragione, proponeva nuovamente ricorso in Cassazione, al fine di ottenere la restituzione delle somme versate ab origine e cioè dalla sentenza che provvedeva sull'assegno divorzile.
A tale tentativo, rispondeva l'ex moglie fondando il proprio ricorso incidentale sulla mancata applicazione nel giudizio di rinvio del criterio elaborato dalla Cassazione con l'altrettanto famosa sentenza n. 18287/2018, nella quale si attribuiva natura assistenziale, compensativa e perequativa all'emolumento in discussione.
Restituzione dell'assegno divorzile indebitamente percepito
La Cassazione nella sua nuova decisione ha ritenuto il motivo della moglie inammissibile, in quanto, pur essendo intervenuto un cambiamento di orientamento giurisprudenziale nella Corte stessa, esso di per sé, non può essere posto alla base delle decisioni, in assenza di fatti nuovi sopravvenuti.
Di conseguenza il giudice del rinvio deve rigorosamente attenersi al principio dettato dai giudici di legittimità, il quale stabilisce che: per il riconoscimento dell'assegno divorzile, se è carente il presupposto dell’an debeatur, semplificando la mancanza di autosufficienza economica, non si passa alla seconda fase dell’accertamento, ossia quella del quantum debeatur, cioè la sua quantificazione in termini monetari.
Secondo la Cassazione, l’insussistenza del diritto all’assegno, derivante dall'accertamento che i mezzi economici a disposizione della donna erano adeguati a mantenere uno stile di vita dignitoso e a supportare il mantenimento delle figlie, comporta che lo stesso non sia dovuto dal momento in cui il beneficiario ha iniziato a percepire dette somme.
In estrema sintesi, la Corte ha condannato la donna alla restituzione di quanto corrisposto a titolo di assegno divorzile sin dal momento in cui iniziò concretamente a percepire l'emolumento, risultato poi non dovuto, oltre agli interessi legali su tali somme.
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