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I figli sposati vanno ancora mantenuti?

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Il dovere di mantenere i figli è in primo luogo un dovere derivante direttamente dalla Costituzione, in quanto l’art. 30, oltre all’art. 147 c.c., evidenzia che i genitori in quanto responsabili della prole devono istruire ed educare i figli e conseguentemente provvedere al loro mantenimento.

Questo onere, come ben noto, non cessa automaticamente con il semplice raggiungimento della maggiore età, bensì è necessario che vengano a verificarsi determinati requisiti che giustifichino il venir meno del mantenimento.


Ovviamente, dall’altro lato, è impensabile che l’obbligo dei genitori possa protrarsi all’infinito e in merito basti ricordare che in una sentenza del 2022 la Corte stabiliva che: “quando il figlio di genitori divorziati […] abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione mera dell'obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre” (Cass. n. 29264/2022).

Tale principio viene ormai utilizzato in diverse pronunce susseguitesi negli anni e i Giudici, sia di legittimità che di merito, nel tempo, si sono sempre più sforzati di esaminare ed individuare diversi elementi che, ove sussistenti, possano giustificare la revoca dell’assegno di mantenimento.

Nel caso in oggetto, deciso con l’ordinanza n. 22813/2023, la prima sezione della Corte di Cassazione si è dovuta confrontare con un nuovo elemento ed in particolare con il matrimonio contratto dalla figlia maggiorenne.

Il caso trae origine dal ricorso proposto da un padre contro il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte di Appello di Bari, la quale, confermando la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale, ha rigettato la domanda avanzata del genitore di revoca dell’assegno di mantenimento della figlia.

Infatti i Giudici hanno ritenuto che le ragioni allegate dal padre all’interno del proprio atto e cioè il fatto che la figlia avesse conseguito un titolo professionale, avesse contratto matrimonio già da tempo e svolgesse saltuariamente un’attività lavorativa, non fossero sufficienti a provare oltre ogni ragionevole dubbio il raggiungimento dell’indipendenza economica, da parte della stessa, utile a sostenere il proprio tenore di vita.

La Suprema Corte, invece, è di tutt’altro avviso ed infatti ritiene fondati i motivi di doglianza proposti dal padre in ultimo grado e cassa con rinvio alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, il decreto impugnato.

Gli Ermellini, infatti, evidenziano come l’onere probatorio sia totalmente a carico del figlio, il quale deve dimostrare i motivi che giustifichino il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica.

Alternativamente, l’onere probatorio è posto a carico del genitore con cui il figlio maggiorenne convive, in quanto è il soggetto che più facilmente può dimostrare per quali cause non si sia ancora realizzata l’indipendenza economica.

Il soggetto maggiorenne, lo si ricorda, può mantenere il proprio diritto solo se, una volta ultimati gli studi del percorso scelto, sia esso scolastico o universitario, provi di essersi adoperato per rendersi indipendente, impegnandosi attivamente nella ricerca di un’occupazione lavorativa, la quale sia consona alle proprie ambizioni.
Insomma, il figlio deve essere ritenuto responsabile del proprio futuro e deve dimostrare di non essere in colpa, quando richiede di essere mantenuto dai propri genitori.

In particolare, poi, la Corte evidenzia che, proprio sulla base del principio di autoresponsabilità dei figli, la scelta di contrarre matrimonio dando vita ad un nuovo nucleo familiare deve considerarsi “indicativa di una maturità affettiva e personale, tale da doversi accompagnare ancor più alla diligente e coerente ricerca del lavoro”.

Quest’ultima decisione si inserisce nel filone giurisprudenziale ormai stabile elaborato dalla Cassazione, la quale di fatto stabilisce che in caso di figlio maggiorenne non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento sono integrati:

1. Dall'età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento;

2. Dall'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro.

Questi presupposti, chiaramente, devono costituire oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e, nel caso concreto, l’onere della prova viene posto a carico del genitore che si è opposto alla domanda di revoca del mantenimento, in quanto soggetto comunque legittimato a richiedere il perdurare della contribuzione in capo all'altro genitore.

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