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L'adozione del minore è un istituto che viene regolamentato dalla legge n. 184/1983 la quale stabilisce che affinché possa essere applicata devono sussistere:
1. La dichiarazione dello stato di abbandono di un minore;
2. L'idoneità dei coniugi individuati ad adottare.
Entrambi questi provvedimenti sono emessi dal Tribunale per i Minorenni nel cui distretto si trova il minore abbondonato e danno origine alla dichiarazione di adottabilità.
L'adozione vera e propria è preceduta dall'affidamento preadottivo e, una volta intervenuta, spezza ogni vincolo di parentela fra il minore e i suoi familiari naturali, conferendo al bambino lo stato di figlio legittimo degli adottanti.
In particolare, come già sottolineato dalla Cassazione nella sentenza n. 7391/2016: "la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minorenne è consentita solo in presenza di fatti gravi, indicativi, in modo certo, dello stato di abbandono, morale e materiale, che devono essere specificamente dimostrati in concreto e nell'attualità".
Proprio il primo dei menzionati presupposti, lo stato di abbandono del minore, è stato di recente nuovamente esaminato dalla Corte di Cassazione, soprattutto con riferimento a quando e in quali circostanze lo stesso possa dirsi concretamente presente.
Si ricorda che lo stato di abbandono si verifica quando vi è una situazione di carenza di cure e di assistenza che si caratterizza per non essere transitoria e di livello tale da compromettere lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore.
Affido del minore: la nonna fa ricorso
La recentissima ordinanza della Cassazione, n. 23320/2024, deriva dal ricorso proposto da parte di una nonna la quale si era vista respingere l'appello avanzato nei confronti della sentenza del Tribunale per i Minorenni che aveva dichiarato adottabile il nipote.
A detta dei giudici di appello, infatti, la richiesta di affido del minore avanzata dalla nonna non poteva essere accolta, in quanto l'esito della CTU svolta in secondo grado e le relazioni dei servizi sociali coinvolti, avevano escluso che la nonna materna potesse svolgere una funzione vicariante indipendente, dal momento che era, per un verso, implicata nel conflitto genitoriale con la figlia e, per altro, minimizzava l'uso di sostanze stupefacenti da parte della figlia, anche durante la gravidanza, sorvolando sulle conseguenze e sui danni alla salute del minore.
Tali motivazioni hanno spinto la donna al ricorso alla Suprema Corte censurando la decisione di secondo grado in quanto, per la medesima, il Giudice non avrebbe applicato correttamente gli articoli della L. 184/1983, inerenti alla sussistenza dei presupposti per l’emissione della dichiarazione di adottabilità del minore e nello specifico con particolare riferimento allo stato di abbandono del nipote, il quale, come sostenuto dalla nonna, non si era mai trovato in una condizione di abbondono né morale, né materiale da quando era nato ed è sempre stato circondato dall'affetto della propria famiglia di origine.
Inoltre, non potevano essere considerate rilevanti le affermazioni della Corte d'Appello e della CTU, svolta con riferimento all'incapacità della stessa donna di prendersi cura del piccolo, in quanto il consulente tecnico del giudice, da un lato non aveva mai incontrato insieme i due soggetti per valutarne l’effettiva e reale relazione e dall'altro, le sue conclusioni si basavano quasi esclusivamente sulle osservazioni redatte anni prima dai servizi sociali.
La Corte di Cassazione, esaminati i motivi proposti dalla nonna, accoglie le sue doglianze in quanto ritiene la sentenza impugnata non conforme ai principi su cui si fonda l'istituto in oggetto.
Infatti, l'art. 8 della L. 184/1983 prevede un accertamento in concreto dei fatti gravi, indicativi dello stato di abbandono morale e materiale del minore, nonché della non possibile recuperabilità della capacità di assistenza dello stesso.
Tale accertamento, inoltre, non può dare ingresso a giudizi sommari di incapacità genitoriale non basati su precisi elementi di fatto.
In particolare, poi, ricorda la Corte che l'accertamento stesso va compiuto tenendo conto in primis dei genitori e in secundis dei familiari entro il quarto grado, che si siano dichiarati disposti ad accudire il minore, in quanto prioritario è il diritto del bambino a rimanere nel nucleo familiare di origine.
Proprio la natura personalissima dei diritti coinvolti e il principio secondo cui l'adozione esterna alla famiglia di origine costituisce un'extrema ratio impongono di valutare anche le figure vicariali, tra i quali non possono non essere considerati i nonni, soprattutto se abbiano rapporti significativi con il minore e si siano resi disponibili alla cura e all'educazione dello stesso.
Per tale ragione, la Corte ritiene che sia assolutamente necessario e imprescindibile al fine di emettere il decreto di adottabilità, l'aver valutato in modo approfondito, completo e attuale anche le condizioni di criticità anche dei familiari resisi disponibili, tenendo conto delle loro capacità di accudire e far fronte alle esigenze, nonché ai bisogni del piccolo.
In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte d'appello, per poter effettuare un giudizio concreto ed effettivo circa lo stato di abbandono del minore, avrebbe dovuto basarsi su un attento monitoraggio, effettuato in concreto e calato nell'attualità, delle tre figure principali: la nonna materna, la madre ed il minore, nelle loro dinamiche relazionali, anche verificando quanto il rapporto della madre con la nonna materna potesse, concretamente, influire sulle capacità vicarianti di quest'ultima e non, come accaduto, riportando meramente valutazioni del CTU operate senza un effettivo confronto della nonna insieme al minore, e sulla base di giudizi dei servizi sociali, fondati su elementi generici e secondari.
In senso conforme, negli anni, si sono espresse anche la Sezione I, Civile, della Corte di Cassazione con le ordinanze n. 11138/2024 e la n. 12223/2024.
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