Con la recente pronuncia n. 24251/2024 la Corte di Cassazione ha definito ulteriormente i limiti che regolano l'istituto dell'Amministrazione di Sostegno con particolare riferimento sia a quelli relativi all'ammissibilità di detta misura, sia a quelli relativi ai poteri dell'amministratore.
Il caso
Il caso sottoposto alla Corte riguardava quello di una signora raggiunta dal decreto di apertura e nomina dell'amministrazione di sostegno, nonostante la stessa avesse dichiarato davanti al giudice tutelare la propria contrarietà a detta misura, dicendosi non solo perfettamente in grado di provvedere a se stessa, ma anche all'anziana madre convivente.
Il Tribunale di Alessandria, chiamato a pronunciarsi sul reclamo presentato dalla donna avverso al decreto del Giudice Tutelare, da una parte riconosceva le importanti capacità della donna, ma dall'altra confermava tutti gli stringenti limiti a lei posti dal Giudice Tutelare, non solo alla straordinaria amministrazione, ma anche all'ordinaria.
Avverso tale decisione veniva proposto ricorso per Cassazione, lamentando sia la violazione dell'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo sia la violazione e falsa applicazione dell'art. 404 cc.
Difatti, la ricorrente evidenziava che, data la formulazione di quest'ultima norma in termini meramente possibilistici, (come citato nell'art. 404: "La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio") e non versandosi in ipotesi di necessità, come previsto nel caso dall'art. 414 c.c. (interdizione), la suddetta misura di amministrazione non dovrebbe essere applicata, nel rispetto del diritto inviolabile all'autodeterminazione, allorquando il beneficiario, consapevolmente e coscientemente, riferisce il propro parere negativo alla misura.
Altresì, la ricorrente indicava come ulteriore violazione delle suddette norme la circostanza che il Tribunale di Alessandria avesse confermato le suddette limitazioni, riconoscendo, tuttavia, "capacità consistenti" in capo alla destinataria della misura.
La decisione della Cassazione
La Cassazione accoglieva il ricorso dell'amministrata, deducendo ciò.
In primo luogo, la Corte Suprema ricorda come l'istituto della amministrazione di sostegno sia uno strumento volto a proteggere, senza mortificarla, la persona affetta da una disabilità.
Successivamente, si sofferma su quelli che sono i principi cardine a cui il giudice, chiamato a pronunciarsi sull'applicabilità o meno dell'istituto, deve attenersi.
In tal senso, gli Ermellini, evidenziano come spetti al giudice "cucire l'abito su misura" al beneficiario in modo così da "assicurare a lui la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione" e che l'accertamento della ricorrenza dei presupposti per l'apertura di tale misura deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario (la cui volontà contraria, ove provenga da persona lucida, non può non essere tenuta in considerazione dal giudice), sia rispetto all'incidenza della stessa sulla capacità di provvedere ai propri interessi personali e patrimoniali, verificando in concreto, che tali esigenze possano essere attuate anche con strumenti diversi.
Nell'ordinanza impugnata gli Ermellini hanno rilevato come dei suddetti principi il giudice di merito nel caso in esame non ne abbia fatto un buona applicazione, mancando in particolare di valutare la proprorzionalità delle limitazioni imposte alla beneficiaria con gli effettivi profili di fragilità della persona.
Il commento
Tale sentenza appare di fondamentale importanza perchè chiarisce ulteriormente il precedente orientamento di legittimità, cristallizzando il principio secondo cui dell'istituto dell'amministrazione di sostegno debba essere operata un'applicazione in concreto maggiormente compatibile ai diritti della persona.
Pertanto, la Corte di Cassazione, prevedendo un obbligo motivazionale assai stringente in capo al Giudice che è chiamato a pronunciarsi sull'istituto, ridimensiona sia l'utilizzo di tale misura, allorquando il destionario si opponga dando prova di possedere importanti capacità, sia gli stessi limiti che il Giudice può applicare alla capacità di agire del soggetto sottoposto alla misura.
Difatti, a parere degli Ermellini, non possono adottarsi provvedimenti stereotipati, cioè moduli standardizzati, rilevato che dall'apertura della amministrazione di sostegno non discende che la persona debba essere sostitutita o assistita in tutte le attività giuridicamente rilevanti, ma solo in quegli ambiti in cui sono emerse criticità.
Questa decisione si pone in linea anche con i principi espressi dal Giudice Europeo.
I giudici di Strasburgo, anche condannando l'Italia, hanno infatti ribadito che una lesione del diritto di una persona al rispetto della sua vita privata, tramite un non corretto utilizzo dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, viola l'art. 8 della Convenzione Europea se non è prevista dalla legge, se non persegue uno o più scopi legittimi, o se non è necessaria in una società democratica, nel senso che non è proporzionata agli scopi perseguiti e che quando sono in gioco delle implicazioni così importanti per la vita privata di una persona, il giudice deve bilanciare scrupolosamente tutti i fattori pertinenti per valutare la proporzionalità della misura da adottare.
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