La questione è quella del fine-vita, espressione spesso usata per non utilizzare un termine maggiormente crudo quale “eutanasia”, il cui significato etimologico dal greco è proprio “una buona morte, una morte senza sofferenza”; si tratta di un tema che scalda gli animi di molti, che corre sul labile confine tra il giuridico, l’etico e il politico.
L’intento di questo approfondimento è esclusivamente quello di riportare le ultimissime novità, sia legislative sia giudiziarie, facendo il punto al luglio 2021 su un problema assai delicato, in considerazione del complicatissimo bilanciamento che i poteri statali sono chiamati a operare tra il diritto alla vita del paziente e il diritto alla libertà di coscienza del personale sanitario.
Eluana Englaro
Il tema è ancora scottante fin dai tempi del caso Englaro, su cui si era pronunciata la Sezione Prima della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 21748/2007, che ha chiarito come la condotta del medico di interrompere le cure si collochi nell’ambito di un’alleanza terapeutica che tiene uniti il malato e il sanitario in una sorta di alleanza alla ricerca di ciò che è bene, nel rispetto dei percorsi culturali di ciascuno.
In quel caso la Corte di Appello di Milano, a cui gli Ermellini avevano poi rinviato la decisione, ha ritenuto che lo stato di malattia della ragazza fosse assolutamente irreversibile e che fosse inaccettabile proseguire in quelle condizioni, quindi veniva autorizzato il distacco dei macchinari dell’idratazione e dell’alimentazione forzata.
Vediamo quali progressi sono stati operati sia dal legislatore che dalla magistratura.
Approvato il testo alla Camera: come accedere all’assistenza medica?
La novità dell’ultim’ora è che le Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera hanno approvato il testo base della proposta di legge sul rifiuto di trattamenti sanitari e sulla liceità dell'eutanasia.
La legge intende disciplinare la facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta di richiedere assistenza medica, per poter porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita, nel rispetto dei principi superiori dell’ordinamento.
La normativa indica ragionevoli presupposti per poter formulare la richiesta di morte medicalmente assistita, tra cui balzano all’occhio la maggiore età e l’essere soggetto a trattamenti di sostegno vitale o a cure palliative, ovvero affetti da una patologia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili.
La procedura da seguire prevede il coinvolgimento attento e scrupoloso del medico di base con cui il paziente deve interfacciarsi, nonché della Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria Territoriale e del Comitato per l’etica nella clinica territorialmente competente.
Quest’ultimo organismo sorgerà entro l’autunno, quando la legge entrerà in vigore, e svolgerà la funzione di garantire la dignità delle persone malate e sostenere gli esercenti le professioni sanitarie nelle scelte etiche a cui sono chiamati; ogni comitato sarà composto da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, sociali e bioetiche.
Quale posizione assume il medico: la causa di esclusione di punibilità.
L’articolo 7 prevede che non si applicano le pene previste per il reato di omissione di soccorso e di istigazione o aiuto al suicidio (di cui rispettivamente agli articolo0 593 e 580 del codice penale) al medico e al personale sanitario e amministrativo che abbiano dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita nonché a tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura.
Inoltre non è punibile nemmeno chiunque, anche con sentenza passata in giudicato, sia stato condannato per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima dell’entrata in vigore del testo in esame, purchè in quei casi ricorressero le condizioni che abbiamo visto nel paragrafo precedente.
Qual è la posizione della Magistratura?
Ci pare doveroso richiamare l’Ordinanza n. 1738/2021 del 15 giugno, con cui il Tribunale Ordinario di Ancona in composizione collegiale ha deciso sul ricorso d'urgenza proposto dal paziente, affetto da patologia irreversibile e fonte di sofferenze per lui intollerabili.
Il ricorrente chiedeva in preliminare di accertare e dichiarare che la somministrazione del farmaco letale “Tiopentone sodico” sia idonea a garantire una morte rapida, efficace e non dolorosa, nonché di accertare e dichiarare la sussistenza del diritto a disporre del farmaco letale, e per l’effetto ordinare all’Azienda Sanitaria di disporre la relativa prescrizione.
I giudici di Ancora, previa acquisizione del parere del Comitato Etico, hanno ordinato l’accertamento della sussistenza dei predetti requisiti, nonché la sussistenza dei presupposti della non punibilità di un aiuto al suicidio.
Questa decisione, oltre a muovere nella medesima direzione logica del nostro legislatore, richiama nella parte motiva la sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 24 settembre 2019, con cui il legislatore è stato sollecitato a redigere il testo normativo appena approvato alla Camera, fornendogli le basi su cui strutturare la normativa.
Corte Costituzionale n. 242 del 24 settembre 2019
La sentenza non solo ha dato impulso alla stesura della normativa appena approvata alla Camera.
Sembra doveroso infatti ricordare che con la suddetta pronuncia la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente".
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