Con la separazione, come è noto, non viene meno l'obbligo gravante sui genitori di mantenere i propri figli, sino a quando gli stessi non saranno economicamente indipendenti e saranno in grado di provvedere a se stessi. Chiaramente questo obbligo deve essere proporzionato alle sostanze e capacità reddituali dei genitori, derivanti dal proprio lavoro professionale o casalingo.
Ora, all'interno di un procedimento di separazione o divorzio è il Giudice che deciderà quanto il genitore obbligato dovrà versare alla prole, considerando diversi fattori e stabilendo anche i tempi in cui l'emolumento dovrà essere corrisposto.
Pertanto è ovviamente riconosciuto che il bene trasferito sia il denaro, in quanto strumento liquido e immediatamente disponibile, ma il genitore onerato potrebbe sostituire il mantenimento con altri beni? Quali conseguenze deriverebbero da tale scelta?
Proprio su questo tema si è confrontata la Corte di Cassazione in una recente sentenza, la n. 14025/2024.
Il caso in questione vede protagonista un padre obbligato a versare il mantenimento per il proprio figlio, che sostituisce il denaro liquido con l'ammontare degli straordinari a lui dovuti dal proprio datore di lavoro.
In pratica, modifica il bene del mantenimento, operando sostanzialmente una cessione del credito vantato derivante dalle ore lavorative svolte oltre l'orario standard.
Il Tribunale e successivamente anche la Corte di Appello condannano il soggetto ritenendolo responsabile del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti del figlio minore, reato regolamentato dall'art. 570 cp. Condanna pari a due mesi di reclusione e che preve il risaricmento in favore della parte civile.
L'uomo presenta ricorso in Cassazione nel quale sottolinea come sia mancata, da parte dei Giudici precedenti, l'assunzione della prova che avrebbe dimostrato la presenza dell'accordo e dell'assenso da parte dell'ex convivente al pagamento diretto della somma a lui spettante a titolo di retribuzione straordinaria e, di conseguenza, la mancata percezione del mantenimento per il figlio non sarebbe imputabile a sua colpa o volontà, bensì al datore di lavoro che non ha provveduto a tale adempimento.
Per la Cassazione, anche in questo caso, il ricorso è da ritenersi infondato. Infatti i Giudici ricordano che il soggetto obbligato a versare il mantenimento “non ha la facoltà di sostituire, di sua iniziativa, la somma di denaro stabilita dal giudice civile a titolo di contributo per il mantenimento”, integrando, in caso contrario, il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, poiché un qualsiasi altro bene viene considerato non idoneo ad assicurare “una concreta e rapida disponibilità economica ad un soggetto privo di capacità reddituale” come di fatto è un soggetto minorenne.
La Suprema Corte ha quindi ritenuto corretta la decisione presa dalla Corte d’appello, la quale ha stabilito come non potesse essere ritenuta corretta la richiesta avanzata dal ricorrente al datore di lavoro, in quanto il padre non può liberarsi dell’obbligo di mantenimento solamente chiedendo a un suo creditore di pagare l’ex compagna al posto suo.
Da ultimo la Suprema Corte ribadisce che i giudici di secondo grado hanno correttamente valutato, come non dirimente, anche la decisione dell'uomo di consegnare, per qualche tempo, denaro e generi di prima necessità alla madre del figlio, in quanto gli stessi non possono comunque essere considerati un effettivo mantenimento.
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